Italo Calvino, nella sua Postfazione all'antologia del 1982, indica una parentela letteraria tra le opere di Landolfi e quelle di Barbey d'Aurevilly e di Villiers de l'Isle-Adam, mentre Carlo Bo ha dichiarato più volte che Landolfi è il primo scrittore dopo D'Annunzio ad avere il dono di giocare con la lingua italiana e di poterne fare ciò che vuole.
Landolfi ha un vero interesse per le possibilità della lingua, seppure non sia uno scrittore d'avanguardia ma piuttosto un conservatore: per esempio, nel racconto La passeggiata[4], che alla persona dotata di un vocabolario medio pare un racconto astruso e incomprensibile, Landolfi fa sfilare una serie di vocaboli desueti, o gergali, ma tutti presenti sul dizionario. Una glossolalia, la sua, come direbbe Agamben[5], da leggere con una continua sorpresa, dizionario alla mano (il suo era uno Zingarelli, ma usava anche il Tommaseo-Bellini)