Antonio Pizzuto nacque in una famiglia ricca e dotta, formata dal padre Giovanni, avvocato e proprietario terriero e dalla madre Maria poetessa, figlia di Ugo Antonio Amico, letterato e studioso di folklore. Il suo percorso di studi iniziò nella scuola Vittorino da Feltre e proseguì nel ginnasio Meli e nel liceo Vittorio Emanuele II, dove ebbe l'occasione di conoscere Salvatore Spinelli. Dopo essersi laureato in giurisprudenza, nel 1915 e in filosofia nel 1922 all'Università di Palermo presentando una tesi sullo scetticismo di Hume, fece carriera nella pubblica amministrazione, a cominciare dalla Scuola di Polizia Scientifica fino a diventare vicequestore di Trento, questore di Bolzano e di Arezzo e infine vicepresidente della Commissione internazionale di polizia criminale (Interpol) con sede a Vienna e soggiorni in Francia, Inghilterra, Germania. Nel 1950 andò in pensione, stabilendo la propria residenza a Roma. Traduttore dal greco e latino, Pizzuto fu anche un profondo conoscitore della lingua inglese, francese e tedesca, lingua, quest'ultima, dalla quale tradusse un'opera di Kant[1].
Parallelamente, si dedicò alla stesura di molti romanzi e ad alcune traduzioni. Iniziò la sua carriera di narratore nel 1912, quando pubblicò la novella Rosalia. Nel 1938, con lo pseudonimo di Heis, pubblicò il suo primo romanzo autobiografico intitolato, Sul ponte di Avignone.
Ma la sua vera nascita come scrittore avvenne dopo la pensione, sia con la stesura delle Memorie di un Questore sia con le collaborazioni per il periodico Polizia Moderna, dove pubblicò racconti e saggi e infine con recensioni e traduzioni per la rivista filosofica Sophia. La tappa fondamentale per la sua crescita letteraria fu la pubblicazione di Signorina Rosina (1959) presso l'editore Lerici, grazie anche all'appoggio di Romano Bilenchi e Mario Luzi.
I suoi scritti, in un primo tempo di carattere più o meno marcatamente autobiografico, sono ricchi di citazioni colte e di novità lessicali; inoltre, si liberano dalle regole temporali, sintattiche e grammaticali che caratterizzano la documentazione storica, che egli evita. Riproduce anche il flusso di coscienza, già impiegato da tanti scrittori del Novecento. Apprezzato, tra gli altri, dal filologo e critico Gianfranco Contini, al quale era legato da una profonda amicizia[2], è ritenuto uno dei maggiori scrittori italiani del secondo Novecento.